IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 31 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto
da: Federconsumatori Piemonte, Gruppo Iniziativa  di  Base  Vercelli,
Gilberto Valeri, rappresentati e difesi dagli avv. Edmondo  Dibitonto
e Fausto Raffone, con domicilio eletto presso il secondo  in  Torino,
piazza della Consolata, 5; 
    Contro  Autorita'  d'ambito  n.   2-Biellese-Vercellese-Casalese,
rappresentata e difesa dall'avv. Claudio Vivani, con domicilio eletto
presso quest'ultimo in Torino, corso Duca degli Abruzzi,  15;  Comune
di Vercelli, rappresentato e difeso  dagli  avv.  Entro  Inserviente,
Ludovico Szego, con domicilio eletto presso il primo in Torino, corso
G. Ferraris, 120; 
    Nei  confronti  di  Atena  Patrimonio  S.p.A.  e  Atena   S.p.A.,
rappresentate  e  difese  dagli  avv.  Francesca  Dealessi,   Giorgio
Santilli, con domicilio eletto presso  quest'ultimo  in  Torino,  via
Paolo Sacchi, e  con  l'intervento  di,  per  l'annullamento,  previa
sospensione dell'efficacia: 
        dell'atto  n.  211  dell'8  ottobre  2007  della   Conferenza
dell'Autorita' d'ambito n. 2, pubblicato dal 24  ottobre  2007  all'8
novembre 2007, avente per l'uso delle reti  idriche  e  fognarie  del
Comune  di  Vercelli.   Approvazione   atto   di   indirizzo,   della
deliberazione del consiglio comunale di Vercelli n.  91  in  data  12
novembre 2007, pubblicata dal 17 novembre 2007 al 1°  dicembre  2007,
avente per oggetto: «Tariffa servizio idrico integrato - Indirizzi in
materia  di  canone  per  l'uso  delle  infrastrutture  idriche»;  di
eventuali atti anteriori e consequenziali ignoti ai ricorrenti: 
        dell'atto n. 214 in data 5 dicembre  2007,  della  Conferenza
dell'Autorita' d'Ambito  n.  2,  pubblicato  dal  4  al  18  febbraio
2008,avente per oggetto «Comune di Vercelli. Assunzione di impegno di
azzeramento del canone di concessione per l'uso delle reti idriche  e
fognarie. Presa d'atto, Indirizzi»; 
        dell'atto n. 215 in data 5 dicembre  2007,  della  Conferenza
dell'Autorita' d'ambito n. 2, pubblicato dal 4 al 18  febbraio  2008,
avente per oggetto «Piano economico-finanziario in stralcio al  Piano
d'ambito per il triennio  2007/2009  riguardante  la  gestione  della
S.p.A. Atena. Approvazione modifiche ed integrazioni»; 
        dell'atto n. 216 in data 5 dicembre  2007,  della  Conferenza
dell'Autorita' d'ambito n. 2, pubblicato dal 4 al 18  febbraio  2008,
avente per oggetto «articolazione tariffaria per il  servizio  idrico
integrato per l'anno 2007. Approvazione», limitatamente alla  tariffa
applicabile  nel  territorio  del  Comune   di   Vercelli   (pag.   7
dell'allegato B). 
    Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati; 
    Esaminate le memorie difensive tutte versate in giudizio; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Esaminato  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  e  le  memorie
difensive dell'Autorita' d'ambito n. 2-Biellese-Vercellese-Casalese; 
    Esaminato l'atto  di  costituzione  in  giudizio  del  Comune  di
Vercelli; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  di  Atena  Patrimonio
S.p.A. e Atena S.p.A.; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  3  aprile  2009  il
referendario  avv.  Alfonso  Graziano  e  udita  la  discussione  dei
procuratoti  delle  parti  generalizzati  nel  verbale  di   pubblica
udienza; 
 
                 Considerato in fatto e in diritto. 
 
    1. - Il gravame  oggi  sottoposto  all'attenzione  del  tribunale
prospetta una tematica di grande rilevanza giuridica e di  non  lievi
implicazioni  sociali,  investendo  la  questione   della   immediata
applicabilita' del principio di gratuita' della  concessione  in  uso
delle infrastrutture afferenti al  servizio  idrico  integrato  (rete
idrica, acquedotti, rete fognaria, manufatti accessori e strumentali)
dai comuni alle societa' di gestione dei servizi idrici. 
    Ebbene, il principio in questione e' scolpito  all'art.  153  del
d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - di approvazione del nuovo c.d.  codice
dell'ambiente - il quale stabilisce che «le infrastrutture idriche di
proprieta' degli enti locali ai sensi dell'art. 143 sono  affidate  m
concessione d'uso gratuita per tutta la  durata  della  gestione,  al
gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i  relativi
oneri». 
    La  norma,  segnala  la  sezione,  reca  un'assoluta  innovazione
rispetto alla pregressa disciplina contenuta all'art. 12 della  legge
5 gennaio 1994, n. 36 (c.d. Legge Galli) oggi  abrogata,  atteso  che
questa norma non stabiliva alcunche' al riguardo, non  precisando  la
natura, gratuita ovvero onerosa, della concessione in uso delle  reti
idriche. 
    La gratuita' si atteggia, pertanto,ad elemento di sicura  novita'
rispetto al passato. 
    Il dato letterale pressoche' categorico  della  disposizione  di'
cui all'art. 153, d.lgs. n. 152/2006 ha indotto infatti  la  dottrina
ad affermare che la stessa sancisce  la  necessaria  gratuita'  della
concessione, discendendone l'illegittimita' di  deroghe  in  sede  di
convenzione,   dovendo,   pertanto,    le    infrastrutture    essere
obbligatoriamente concesse in uso gratuito al gestore del servizio. 
    Puo' al riguardo convenirsi con tale opzione ermeneutica,  stante
il tenore all'evidenza tassativo e perentorio della norma in analisi,
quale emergente dalla scansione lessicale e sintattica con  la  quale
formulata: «le infrastrutture  (...)  sono  affidate  in  concessione
d'uso gratuita», rimarcandosi anche l'arco temporale di  riferimento:
«per tutta la durata della gestione». 
    La quaestio  iuris  che,  quindi,  la  sezione  e'  richiesta  di
dipanare concerne l'applicabilita' o meno del predetto  principio  di
gratuita' - e correlativamente la sua portata e i suoi effetti  -  ai
rapporti concessori gia' sorti al momento della sua entrata m  vigore
e, m particolare, alle convenzioni di gestione  del  servizio  idrico
gia' stipulate e perduranti fino alla scadenza convenuta. 
    Il nodo  da  districare  e',  dunque,  se  il  principio  sancito
dall'art.  153  del  Codice,   della   necessaria   gratuita'   della
concessione delle reti e delle  infrastrutture  del  servizio  idrico
integrato  si  imponga  o  meno,  attraverso   il   noto   meccanismo
civilistico  dell'inserzione  automatica  di  clausole   secondo   il
paradigma  definito  all'art.  1339  c.c.,  anche  alle   convenzioni
accessive a provvedimenti concessori gia'  in  essere  e  contenenti,
invece, la previsione di un nominativo a favore degli enti locali e a
carico dei gestori del servizio,  cessionari  quindi  anche  dell'uso
delle infrastrutture strumentali al servizio idrico integrato. 
    2.1. - Necessita al riguardo premettere una rapida  illustrazione
degli  atti  generali  adottati  dell'amministrazione  resistente   e
rilevanti nella fattispecie che occupa. 
    Con deliberazione della giunta comunale di Vercelli n. 63 del  20
dicembre 2000 veniva  approvata  una  nuova  convenzione  quadro  che
all'art. 7 conteneva la previsione della possibilita' che la societa'
di gestione del servizio  idrico  integrato  corrispondesse  all'ente
locale  un  canone,  sulla  base   di   un   «atto   di   concessione
amministrativa nel quale verra' stabilito  il  canone  a  favore  del
comune» per fuso dei beni strumentali costituenti  le  dotazioni  del
servizio  idrico.  Veniva  contestualmente  approvato   il   relativo
contratto di servizio e la  concessione  si  presentava  dunque  come
onerosa, in linea con il dettato dell'art. 9, comma  5,  della  legge
reg. Piemonte n. 13/1997, a mente del quale «la convenzione determina
l'ammontare del canone di concessione del servizio  idrico  integrato
che i soggetti gestori sono tenuti a corrispondere per  l'affidamento
delle predette infrastrutture». 
    In data 22 gennaio 2003 con atto notarile a repertorio n. 195  la
convenzione   suindicata   veniva    modificata    prevedendosi    la
corresponsione a favore del Comune di Vercelli  di  un  canone  annuo
pari ad € 2.435.000 da adeguare sulla base degli indici ISTAT. 
    Successivamente, effettuata la privatizzazione della societa' di'
gestione Atena S.p.A. entro il 1° ottobre 2003,  ricorrendo  all'uopo
le condizioni della salvaguardia  della  gestione  imposte  dall'art.
113, comma  15-bis  del  d.lgs.  n.  267/2000,  l'Autorita'  d'ambito
competente  deliberava  con  atto  n.  149  del  13  marzo  2006,  di
riconoscere la prosecuzione della gestione  fino  alla  data  del  31
dicembre 2023 in considerazione delle esigenze di ammortamento  degli
ingenti  investimenti  previsti  dal  Piano   d'ambito.   Il   canone
concessorio  € 2.435.000  con  relativo  aggiornamento  Istat  doveva
essere pertanto corrisposto dal gestore al  Comune  per  venti  anni,
coacervando,  quindi,  alla  fine  dei  predetti   venti   anni,   la
considerevole somma di € 48.700.000. 
    Conseguentemente, l'Autorita' d'ambito deliberava con atto n. 211
dell'8 ottobre 2007 il «riconoscimento in tariffa del servizio idrico
integrato del canone per l'uso delle  reti  idriche  e  fognarie  del
Comune di Vercelli, approvando un atto  di  indirizzo  che  vincolava
tutti gli uffici competenti  a  rispettare  la  delineata  previsione
nella predisposizione  del  piano  economico  e  finanziario  per  il
triennio 2007-2009. Dal canto suo il  Comune  di  Vercelli  con  atto
consiliare n. 91 del 12 novembre 2007 deliberava di  concorrere  alle
esigenze di sostenibilita' tariffaria dei servizi pubblici attraverso
l'azzeramento graduale e quinquennale del canone d'uso delle  reti  e
delle infrastrutture con varie modalita'. 
    2.2. - Insorgevano davanti a questo T.a.r. avverso le due  ultime
delibere del 2007 la Federconsumatori Piemonte, un comitato  di  base
ed un privato cittadino, chiedendone  l'annullamento  per  violazione
dell'art. 153 del Codice dell'ambiente, il quale  stabilisce  che  le
infrastrutture,  reti  ed  impianti  afferenti  al  servizio   idrico
integrato sono concesse in  uso  gratuito  alle  societa'  incaricate
della gestione del servizio. 
    A dire dei ricorrenti tale norma costituisce disposizione che  si
inserisce automaticamente nelle concessioni - contratto in corso,  in
virtu' del noto meccanismo civilistico dell'inserzione automatica  di
clausole o norme di diritto di cui  modulo  delineato  all'art.  1339
cc., applicabile anche ai rapporti stipulati da privati con  la  p.a.
parte ricorrente ritiene di giovarsi anche  dei  sistema  civilistico
delle nullita' c.d. parziali di cui all'art. 1419  cc.  Invocava  sul
punto vana giurisprudenza che ha predicato l'applicazione di siffatto
autoritativo inserimento di clausole anche ai  negozi  contratti  con
l'amministrazione. 
    2.3. - Si costituivano in giudizio sia il Comune di Vercelli  che
l'Autorita' d'ambito n.  2  «Biellese,  vercellese  e  casalese»  con
memoria del 2 febbraio 2008  contestando  l'applicazione  retroattiva
della norma invocata, che non sarebbe atta a incidere negozi gia'  in
fase di esecuzione alla data della sua entrata  in  vigore,  pena  la
violazione dei diritti quesiti. 
    Alla  Camera  di  consiglio  del  6  febbraio  2008  la   sezione
respingeva  l'incidente  cautelare  contestualmente  frapposto,   sul
rilievo della non  immediata  lesivita'  degli  atti  impugnati,  che
rimandavano a successivi previsti provvedimenti applicativi, adottati
i quali parte ricorrente interponeva ricorso per motivi aggiunti  con
ulteriore richiesta cautelare. 
    L'Autorita' d'ambito produceva poi corposa  memoria  defensionale
il 6 maggio 2008. 
    Alla Camera di consiglio del 4  settembre  2008  fissata  per  la
trattazione della predetta domanda di sospensione, la  stessa  veniva
abbinata al merito. 
    2.4. - Pervenuto l'affare alla  pubblica  udienza  del  3  aprile
2009, nel corso della  discussione  orale  i  patroni  dell'Autorita'
d'ambito  sollevavano  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 153 del c.d. Codice dell'ambiente per violazione  dell'art.
76 della Costituzione per non essere stato domandato dal  Governo  il
parere del Consiglio di Stato sull'intero schema di decreto delegato,
come sarebbe provato  da  vari  dati  testuali,  tra  cui  le  stesse
affermazioni espresse dal Consiglio di Stato, sezione consultiva atti
normativi nell'adunanza del 5 novembre 2007, che nella parte iniziale
riferisce che «il parere in discorso, richiesto ex art. 17, comma 25,
lettera a) della legge n. 127/1997, nonche' ex art. 16, comma 1, n. 3
t.u. n. 1054/1924, va circoscritto allo schema di decreto  correttivo
trasmesso e non puo' estendersi al testo base del d.lgs. n.  152/2006
ne' al primo decreto legislativo corretti, testi sui quali il  parere
del Consiglio di Stato non e' stato richiesto». 
    Nella tesi dell'Autorita' d'ambito, dunque, se il Governo  avesse
acquisito il parere del  Consiglio  di  Stato,  il  supremo  Consesso
amministrativo avrebbe invitato il Governo  ad  eliminare  dal  testo
dell'art.  153  l'inciso  contenente  il  principio  di  gratuita'  -
assolutamente non previsto dalla legislazione precedente -  a  motivo
dell'impatto che il principio  stesso  produce  sugli  assetti  della
finanza locale e, in particolare, come tra breve si illustrera',  sul
principio di  autosufficienza  del  sistema  di  alimentazione  delle
risorse finanziane degli enti locali, con connessa  violazione  anche
del principio e criterio  direttivo  generale  dell'invarianza  degli
oneri a carico della finanza pubblica, fissato all'art. 1,  comma  8,
lettera c) della legge n. 308/2004 di delegazione  (su  questo  tema,
infra amplius). 
    Comportando un decremento di entrata per gli enti locali, quindi,
il    principio    di    gratuita'     vulnererebbe     la     regola
dell'autofinanziamento,   che,    pur    temperata    dall'intervento
integrativo e di soccorso dello Stato  centrale,  resta  comunque  un
principio cardine della finanza locale. 
    Gia' nella memoria depositata il  6  maggio  2008  (pagg.  18-21)
l'Autorita' d'ambito resistente  sosteneva  che  l'interpretazione  e
l'applicazione dell'art. 133 del d.lgs. n. 152/2006  caldeggiata  dai
ricorrenti  rinvenisse  un  limite  nell'art.  76  cost.  poiche'  il
principio di gratuita'  scolpito  nella  predetta  norma  del  Codice
violerebbe uno dei criteri direttivi di cui alla legge delega del  15
dicembre 2004, n. 308, il cui art. 1, comma 8 stabiliva che i decreti
delegati di  riordino  della  legislazione  in  materia  di  ambiente
dovessero informarsi ai criteri  direttivi  specificati  nella  legge
delega e tra i quali alla lett. c)  del  medesimo  art.  1,  comma  8
consta quello di «invarianza  degli  oneri  a  carico  della  finanza
pubblica».  Identico  limite  e'inoltre,  in  via  generale   fissato
all'art. 1, comma 1 delle legge  di  delegazione,  che  conferiva  al
Governo la potesta' di emanare uno  o  piu'  decreti  legislativi  di
riordino e riassetto normativo m  materia  ambientale,  purche'  cio'
avvenisse senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica . 
    In  proposito  il  Comune  di  Vercelli  nella  relativa  memoria
sosteneva che  l'esclusione  della  possibilita'  di  contemplare  un
canone per l'uso delle infrastrutture idriche  sostanzia  una  minore
entrata, che ha lo stesso effetto finale e sostanziale di  una  nuova
spesa. 
    Le predette parti  pubbliche,  pur  argomentando  nei  sensi  ora
riassunti, non prospettano tuttavia al  Tribunale  una  questione  di
legittimita' costituzionale della norma  in  analisi  per  i  cennati
aspetti inerenti il conflitto con il principio  di  invarianza  della
finanza  locale  definito  all'art.  1  delle  legge   n.   308/2004,
configurandone piuttosto un limite interno alla sua  applicazione  ai
rapporti concessori gia' in corso alla sua entrata in vigore. 
    2.4. - Tanto premesso in ordine allo svolgimento del  processo  e
alla sintesi delle posizioni delle  parti  litiganti,  alla  pubblica
udienza del 3 aprile 2009 udita la discussione dei procuratori  delle
costituite  parti  e  la  Relazione  del  Referendario  avv.  Alfonso
Graziano, il gravame e' stato trattenuto in decisione. 
    3.1.1. -  Ritiene  il  remittente  Collegio  che  la  prospettata
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 153 del d.lgs.  n.
152/2006 come sollevata  dalla  difesa  dell'Autorita'  d'ambito  per
violazione dell'art. 76 della Carta fondamentale a causa  dell'omessa
richiesta e acquisizione del parere  del  Consiglio  di  Stato  sullo
schema di decreto legislativo, sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondata per  le  ragioni  che  vengono  in  appresso  illustrate  e
corroborate di ulteriori considerazioni di diritto costituzionale. 
    3.1.2. - Sulla scia, inoltre,  dell'argomentare  sopra  riassunto
della difesa dell'Autorita' d'ambito relativamente al limite,  dianzi
lumeggiato,  prospettato  dalle  parti  pubbliche  come   interno   a
ritenenti, all'interpretazione dell'art. 153 sostenuta dai  correnti,
direttamente discendente  dall'art.  1  della  legge  n.  308/2004  e
costituito dall'impossibilita' di incisione della  finanza  pubblica,
Ritiene  invece  propriamente  questo  giudice  di  dover   sollevare
d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'invocata -
dai ricorrenti - norma del c.d. Codice dell'ambiente. 
    Il delineato  incidente  costituzionale,  elevato  d'ufficio  dal
remittente Tribunale a carico dell'art. 153 del d.lgs. n. 152/2006 e'
determinato dalla patente sua collisione con uno degli ineludibili  e
cogenti criteri e principi direttivi intagliati nell'art. 1, commi  1
e 8, lettera c) della legge di delegazione, ossia con il principio di
«invarianza degli oneri a carico della finanza  pubblica»  (comma  8,
lett. c) cit.) e con quello  contermine  dell'impossibilita'  che  le
disposizioni del decreto  legislativo,  con  cui  il  Governo  doveva
esercitare la delega, producessero «nuovi o  maggiori  oneri  per  la
finanza pubblica» (art. 1, comma 1, legge cit.). 
    3.1.3.  -  Opina  altresi'  il  remittente  Collegio  che   debba
predicarsi e prospettarsi al supremo sindacato  di  costituzionalita'
affidato  dalla  Carta  fondamentale  alle  attribuzioni  di  codesta
sovrana Corte, la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
153 del Testo unico sull'ambiente limitatamente al ridetto  principio
di gratuita' della concessione in uso delle infrastrutture  afferenti
al servizio idrico integrato, anche per un profilo  di  intrinseco  e
interno contrasto di questa  disposizione  con  le  stesse  finalita'
generali  dell'articolato  complessivo,  definite  all'art.   2   del
medesimo d.lgs. n. 152/2006 - con  norma  che,  quindi,  per  la  sua
stessa collocazione e numerazione deve qualificarsi di principio -  e
cola' ribadite nei perentori termini per cui «Le disposizioni di  cui
al presente decreto sono attuate  nell'ambito  delle  risorse  umane,
strumentali e finanziarie previste a  legislazione  vigente  e  senza
nuovi maggiori oneri a carico della finanza pubblica» (art. 2,  comma
3, d.lgs. n. 152/2006). 
    Al riguardo, pone in luce il remittente tribunale che la rilevata
contraddizione della delineata finalita' di  salvaguardia  sia  degli
oneri a carico della finanza pubblica che delle risorse  «finanziarie
a legislazione vigente», scolpita ed elevata dall'art. 2 del  decreto
delegato al livello dei principi  guida  della  potesta'  legislativa
delegata, contraddizione generata dal confliggente  disposto  di  cui
all'art.153 e dal relativo principio gratuita', equivale, in  termini
di sindacato di legittimita' costituzionale, ad un  evidente  profilo
di  irragionevolezza,  incongruenza,  contraddittorieta'  interna  ed
illogicita'   intrinseca   dell'articolato   legislativo   censurato,
ridondando quindi nella violazione dell'art. 3 della Costituzione sub
specie di infrazione del principio di ragionevolezza della legge. 
    4.  -  Quanto  al preliminare  requisito  della  rilevanza  delle
prospettate questioni di legittimita' costituzionale,  lo  stesso  e'
agevolmente ravvisabile sol che si  rifletta  sulla  circostanza  che
qualora  codesta  sovrana  Corte  dovesse  ritenere  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 153 del Codice dell'ambiente, la  norma  non
potrebbe  essere  applicata  al  caso  al   vaglio   della   sezione,
conseguendone il  rigetto  dell'interposto  gravame  demolitorio,  il
quale si fonda su di un unico articolato mezzo deduttivo, con cui  si
lamenta la violazione del principio di gratuita' recato dal  predetto
censurato articolo del testo unico in analisi. 
    La questione e', pertanto, assai rilevante nel presente  giudizio
in quanto l'eventuale declaratoria di  illegittimita'  costituzionale
della denunciata normativa importerebbe  e  o  ipso  il  rigetto  nel
merito del ricorso in epigrafe. 
    5.1.1. - Dovendo ora  argomentarsi  e  dimostrarsi  il  requisito
della  non  manifesta  infondatezza  delle  soggette   questioni   di
legittimita' costituzionale e dovendosi principiare dalla disamina di
quella appuntata sugli accennati profili  di  diritto  costituzionale
che alimentano l'invocazione dell'art. 76 della Carta  costituzionale
ritenuto  vulnerato  dall'omessa  richiesta  di  parere  al   supremo
Consesso consultivo dello Stato, non puo' il remittente collegio  non
prendere le mosse da una brevissima riflessione sulla natura e  sullo
spettro dei poteri di legificazione  che  l'ordinamento  repubblicano
riconosce e commette al Governo. 
    Al riguardo e' fin troppo  noto  che  lo  Stato  repubblicano  e'
imperniato    e    riposa    sul    principio    democratico    della
rappresentativita' e della sovranita' popolare, m ossequio  al  quale
la Carta fondamentale attribuisce in via  principale  e  generale  il
potere legislativo al Parlamento, in quanto diretta espressione dello
Stato  -  comunita'  attraverso  il  sistema  delle  libere  elezioni
democratiche dei rappresentanti del popolo. 
    Non puo' obliterarsi che la cennata logica democratica  si  pone,
del resto, in armonia e in linea di massiccio sviluppo e  incremento,
con  taluni  segmenti  di  disciplina  istituzionale  dello   Statuto
Albertino che, pur nell'impianto monarchico  dei  poteri  di  allora,
gia' concepivano il Parlamento albertino (costituito delle due Camere
rappresentante dal Senato, con  sede  a  Palazzo  Carignano  e  dalla
Camera dei deputati, con sede a Palazzo  Madama  a  Torino)  come  un
interlocutore  necessario  del  Re  su  alcuni  momenti  cruciali   e
fondamentali dell'azione normativa e della vita del regno. 
    5.1.2. - Al  potere  esecutivo,  nell'attuale  forma  di  Governo
repubblicano e  costituzionale,  e'  riconosciuto,  com'e'  noto,  la
potestas legiferandi solo nei due noti  istituti  della  decretazione
d'urgenza e della decretazione delegata, la quale ultima, sede in cui
si  esalta  anche  un'istanza  di   snellimento   e   semplificazione
normativa,  e',  peraltro,  astretta  a  precisi  limiti,   disegnati
tassativamente dall'art. 76 della Carta fondamentale. 
    Trattasi di norma cruciale che  permea  tutto  il  sistema  della
legislazione delegata e che ha indotto  la  piu'  avvertita  dottrina
costituzionalistica ad affermare, ad esempio,  che  non  puo'  essere
delegata al Governo la formazione di quelle leggi che incidono  sullo
stesso nucleo  fondamentale  dei  suoi  poteri,  quali  le  leggi  di
bilancio, oppure le leggi di conversione di precedenti decreti  legge
assunti da tale organo costituzionale in via d'urgenza.  Leggi  tutte
la  cui  emanazione  non  puo  quindi  formare  oggetto   di   delega
legislativa al Governo. 
    5.1. 3. - Orbene, la cogenza e  la  portata  dell'art.  76  della
Costituzione risiedono primieramente nel principio democratico  della
sovranita' popolare e nell'eccezionalita' dell'intervento legislativo
del  Governo,  composto  da  membri  espressione  della   maggioranza
politica  e  quindi   in   ultima   analisi   da   una   sola   parte
dell'elettorato,  quella  riuscita  vincitrice   della   competizione
elettorale. 
    Il  carattere  eccezionale  e  derogatorio  dell'attribuzione  al
Governo della potesta' legiferante risalta,  del  resto,  ictu  oculi
dalla stessa formulazione dell'art. 76 Cost., non a caso enunciato ed
espresso in termini negativi: «L'esercizio della funzione legislativa
non puo' essere delegato al Governo  se  non  con  determinazione  di
principi e criteri direttivi e soltanto  per  tempo  limitato  e  per
oggetti definiti». 
    La determinazione dei principi e dei criteri  direttivi  assurge,
dunque, a precondizione e  presupposto  ineludibile  e  fondante  del
legittimo esercizio da parte del Governo della  potesta'  di  emanare
atti aventi forza di' legge. 
    5.2. - Rimarca all'uopo remittente Collegio che la fissazione dei
prefati  principi  e  criteri  direttivi  riveste  un   ruolo   cosi'
dirimente, rilevante e condizionante nella dinamica e  nel  dipanarsi
dell'esercizio del potere di normazione  delegata,  che  la  dottrina
costituzionalistica piu' accreditata ha da  tempo  affermato  che  la
legge di delegazione (c.d.  legge  delega),  che  e'  la  sede  della
elaborazione dei predetti principi  e  criteri  direttivi,  non  puo'
essere approvata con lo strumento c.d deliberante, ossia in  sede  di
commissioni parlamentari, nelle loro varie configurazioni (referente,
deliberante o legislativa) ma deve essere discussa  ed  approvata  in
aula, proprio perche' i principi e i criteri direttivi  da  assegnare
al Governo devono originare e scaturire dal piu' ampio e  democratico
confronto e dibattito parlamentare, che solo la discussione  in  Aula
puo' assicurare. 
    E' consapevole sul punto il Tribunale che non si sta  diffondendo
in piu' o meno dotte o  trite  digressioni  di  teoria  generale  del
diritto  costituzionale,  ma  in  necessarie  puntualizzazioni  della
cogenza e della portata vincolante dei menzionati principi e  criteri
direttivi, almeno due dei quali opina il remittente  collegio  essere
stati  infranti  in  occasione  della  redazione  del   testo   unico
dell'ambiente:   ovverosia,   conviene   anticipare,   quello   della
necessaria richiesta ed acquisizione del parere  del  supremo  Organo
consultivo dello Stato e quello dell'invarianza degli oneri a  carico
della finanza pubblica. 
    6.1 - Approdando, dunque, in medias res, il remittente  Tribunale
in dubita di infrazione costituzionale per  violazione  dell'art.  76
Cost.  l'art.  153  del  d.lgs.  n.   152/2006,   quale   conseguenza
dell'incostituzionalita' di tutto  il  decreto  delegato  recante  il
testo del c.d. Codice dell'ambiente, per avere il Governo  in  carica
nell'aprile 2006, violato la predetta norma di  rango  costituzionale
la' dove non ha domandato al Consiglio  di  Stato  l'espressione  del
parere, richiesto dalla legge quale  principio  dell'esercizio  della
potesta' governativa di redazione dei testi unici. 
    6.2. - Rammenta  a  tal  riguardo  la  sezione  che  il  fenomeno
dell'elaborazione di testi  unici,  nella  sua  versione  ricognitiva
(detta anche compilativi) o innovativa, ha antiche  origini,  ove  si
ricordi e consideri  che  lo  stesso  testo  unico  delle  leggi  sul
Consiglio di Stato, di cui al r.d. 26  giugno  1924,  n.  1054,  esso
stesso, appunto, gia' un testo unico, all'art. 16, comma  1,  sanciva
con norma tuttora m vigore, l'obbligatoria  acquisizione  del  parere
del supremo Consesso «sopra tutti i coordinamenti in testi  unici  di
leggi o di regolamenti, salvo che non sia diversamente stabilito  per
legge». 
    Ma la piu' moderna tipizzazione del potere di redazione di  testi
unici da parte del Governo va individuata  nell'art.  17,  comma  25,
della legge 15 maggio 1997, n. 127. Tale legge, c.d. Legge Bassaniani
2, dedicata alla semplificazione e  allo  snellimento  dell'attivita'
amministrativa  ha  dettato  disposizioni  per  favorire   anche   lo
snellimento e la semplificazione normativa, contemplando all'uopo  la
facolta' per il Governo di procedere alla  predisposizione  di  testi
unici di sistemazione e riassetto normativo, subordinandone, peraltro
l'adozione, alla previa  obbligatoria  acquisizione  del  parere  del
Consiglio di Stato. 
    6.3. - In tale ottica e a tal fine, dunque, la legge n.  127/1997
ha stabilito all'art. 17, comma  25,  con  deposizione  imperativa  e
ineludibile, che «il parere del Consiglio di Stato  e'  richiesto  in
via obbligatoria:  a)  per  l'emanazione  degli  atti  normativi  del
Governo e dei singoli ministri, al sensi dell'art. 17 della legge  23
agosto 1988, n. 400, nonche' per l'emanazione di testi unici. 
    Com'e' noto ed e' stato tramandato alla tradizione e alla  prassi
redattiva di siffatti articolati normativi,  i  testi  unici  possono
constare di due tipologie: il testo unico ricognitivo o compilativi),
che si limita a raccogliere disposizioni disparate, recate  da  fonti
diverse  e  che  pertanto  non  assume  caratteri  di   innovativita'
dell'ordinamento. 
    Vi e' poi il testo unico c.d. innovativo, il quale,  in  uno  con
l'obiettivo di sistemazione e raccolta  di  vane  disposizioni,  reca
anche norme nuove, non presenti nella pregressa cornice legislativa. 
    6.4. - Orbene, ritiene a tal riguardo il remittente  Collegio  di
dover evidenziare e di poter  fondatamente  affermare  che  la  ratio
della   necessita'   della   preventiva   richiesta   e   conseguente
acquisizione del parere del Consiglio di Stato  sullo  schema  di  un
testo unico, specie se di natura innovativa,  si  spiega  proprio  in
virtu' dell'attitudine di siffatta seconda tipologia di  testi  unici
ad innovare il panorama normativo,  con  l'aggiunta  di  disposizioni
nuove, non presenti nel pregresso quadro legislativo. 
    Ecco quindi spiegata la ratio che  ispira  l'obbligo  del  potere
esecutivo di domandare e acquisire previamente il parere del  supremo
organo consultivo dello Stato ai fini della compilazione di un  testo
unico. Detto obbligo e' imposto, per le ragioni poc'anzi  lumeggiate,
da due fonti legislative di  livello  primario,  molto  distanti  nel
tempo ma ambedue parimenti ineludibili quanto attuali: l'art. 16  del
r.d. n. 1054/1924 recante approvazione del testo  unico  delle  leggi
sul Consiglio di Stato e l'art. 17 della legge n. 127/1997. 
    Non puo' trascurarsi inoltre che l'istituto dei  testi  unici  e'
stato di  recente  riproposto  dal  legislatore  quale  strumento  di
semplificazione e razionalizzazione normativa. L'art. 5 della recente
legge 18 giugno 2009, n. 69 ha infatti  introdotto  nel  corpo  della
nota legge 23 agosto 1988 n. 400, un art.  17-bis,  rubricato  «testi
unici compilativi», in ossequi al quale il Governo provvede, mediante
testi unici compilativi, a raccogliere le disposizioni  aventi  forza
di legge regolanti materie e settori omogenei. 
    Ebbene, va opportunamente evidenziato che a norma del comma 2 del
neonato art. 17-bis della legge n. 400/1988, «lo  schema  di  ciascun
testo unico e' deliberato dal Consiglio  dei  ministri,  valutato  il
parere che il Consiglio di Stato deve esprimere entro  quarantacinque
giorni dalla richiesta». 
    A parere del denunciante Tribunale, dunque, essendo  indubbio  il
valore interpretativo dell'ordinamento che va annesso a  quest'ultima
norma di legge, il parere del Consiglio di Stato, se, in forza  della
stessa e' obbligatorio per la formazione di un testo unico  meramente
compilativo, deve a fortiori predicarsi necessario e  imprescindibile
per  la  redazione  di   un   testo   unico   innovativo,   qual   e'
inconfutabilmente il d.lgs. n. 152/2006 censurato. 
    6.5.1. - Orbene,  dal  combinato  disposto  dell'art.  16,  primo
comma, del r.d. n. 1054/1924 e dell'art. 17, domina  25,  lettera  a)
della  legge  n.  127/2007,  nonche'   sulla   scorta   del   rilievo
ricostruttivo  e  interpretativo  dell'ordinamento  da   riconoscersi
all'art. 17-bis, comma 2  della  legge  n.  400/198  come  introdotto
dall'art. 5 della legge n. 69/2009, discende dunque, a  parere  della
denunciante sezione,  che  l'obbligo  di  richiesta  del  parere  del
Consiglio di Stato trascende e supera il livello formale -  di  legge
ordinaria - della fonte che lo ha istituito, dovendo a detto  obbligo
attribuirsi i1 valore di un principio e criterio direttivo a cui deve
necessariamente  conformarsi  l'esercizio  della  potesta'  normativa
delegata al Governo, alla stregua e allo tesso livello di uno di quei
principi (oltre che criteri direttivi) additati  dall'art.  76  della
Carta costituzionale a limite  della  potesta'  legislativa  delegata
all'esecutivo. 
    6.5.2. - Il Tribunale e' quindi dell'avviso che  i  principi  che
costringono  la  potesta'  normativa  delegata  al  Governo   debbano
rintracciarsi non solo in quelli specificamente definiti e  precisati
dalle singole leggi di delegazione, ma anche in tutte le altre  leggi
ordinarie recanti, appunto, disposizioni di principio  che  informano
di se stesse l'ordinamento giuridico nel suo complesso. 
    6.6. - Rammenta  all'uopo  il  remittente  collegio  che  codesta
sovrana Corte ha gia' avuto modo di affermare, con una pronuncia,piu'
che  mai  pertinente  al  caso  che  occupa,  che  il  sindacato   di
costituzionalita' in materia di delega legislativa e di  legislazione
delegata va  puntualizzato  sui  principi  e  sui  criteri  direttivi
contenuti nella legge  di  delegazione,  principi  che  pero  debbono
essere ricostruiti in un'ottica di piu' ampio raggio, avendo,  cioe',
anche riguardo al complesso delle norme in cui si collocano.  Codesto
supremo giudice delle leggi ha infatti qualche anno fa insegnato  che
«Il sindacato di costituzionalita' sulla delega legislativa  postula,
secondo  la  costante  giurisprudenza  costituzionale,  un   processo
interpretativo  relativo  all'oggetto,  ai  principi  ed  ai  criteri
direttivi della delega, tenendo conto  del  complessivo  contesto  di
norme in cui si collocano» (Corte costituzionale, 28 luglio 2004,  n.
280). 
    A  stare  all'illuminante  chiarimento  di  cui  alla   riportata
eminente decisione di codesta sovrana Corte,  dunque,  i  principi  e
criteri direttivi vincolanti il legislatore  delegato  devono  essere
ricostruiti e desunti «dal complessivo contesto di norme  in  cui  si
collocano», potendo e dovendo quindi anche essere  dedotti  da  altre
leggi ordinarie, di pari livello rispetto alla legge di  delegazione,
leggi  che,  all'evidenza,   concorrono   a   comporre   il   ridetto
«complessivo contesto di norme i  cui  si  collocano»  i  principi  e
criteri direttivi in parola. 
    A parere del Tribunale esponente, dunque, gli artt. 17, comma 25,
lettera a) della legge n. 127/1997,  e  16,  comma  1,  del  r.d.  n.
1054/1924, nonche' l'art. 17- bis, comma 2, della legge n.  400/1988,
come introdotto dall'art. 5, comma 2, della legge  n.  69/2009,  sono
norme di principio nella disciplina  della  materia  e  del  fenomeno
normativo della formazione e redazione dei testi  unici,  siano  essi
compilativi o innovativi. 
    6.7. - Del resto, non va sottaciuto che a diversamente opinare, a
voler cioe' differenziare i principi  recati  dalla  legge  delega  e
quelli rivenienti,  invece,  da  altre  fonti  legislative  anch'esse
contenenti norme di principio e a voler,  quindi,  reputare  limitata
l'attitudine vincolante e conformativa dell'esercizio della  potesta'
normativa del Governo ai soli principi specificamente contenuti nella
legge  di  delegazione,  si  determinerebbe  un'evidente  aporia  nel
sistema,  producendosi   l'effetto,   davvero   discriminatorio,   di
attribuire un regime giuridico differenziato e una valenza  deteriore
ai principi recati da  altre  fonti  legislative  rispetto  a  quelli
definiti specificamente nella legge delega. 
    Ma stenta il remittente Collegio ad individuare superiori ragioni
di rango costituzionale  idonee  a  fondare  e  legittimare  siffatta
operazione di discriminazione tra fonti poste sullo stesso piano. 
    Si  deve  pertanto  ritenere  che  la  delega  legislativa  debba
dispiegarsi nel rispetto non solo dei principi  e  criteri  direttivi
espressamente indicati nella relativa legge di delegazione, ma anche,
come insegnato da codesta sovrana Corte con la  sentenza  suindicata,
nell'Osservanza dei principi che riposano in altre norme di legge, le
quali concorrono a costituire il «complessivo contesto  di  norme  in
cui si collocano» i principi in parola. 
    6.8.  -   Orbene,   nell'ottica   delle   illustrate   coordinate
ermeneutiche, e' convinto, in particolare, il  remittente  Tribunale,
come sopra appena accennato, che tra i principi equiordinati a quelli
menzionati nella legge  delega  rivenienti  da  altre  leggi,  vadano
precipuamente   annoverati,   individuati   e   tenuti   in    debita
considerazione quelli dettati dalla legge sulla procedura di adozione
dei testi unici, principi. questi ultimi,  che  si  attestano  ad  un
livello almeno pari a quelli specificamente  intagliati  nella  legge
delega. 
    Dei principi enucleati dalle leggi regolanti il  procedimento  di
formazione e redazione dei testi unici, ossia dall'art. 16,  punto  3
del r.d. n. 1054/1924  e  dall'art.  17,  comma  25  della  legge  n.
127/1997, interpretativamente rinvigoriti dall'art. 17-bis  comma  2,
della  legge  n.  400/1988,  va,   dunque,   predicata   l'attitudine
conformativa della potesta' normativa delegata del  Governo,  poiche'
essi disciplinano proprio il modus agendi del  potere  esecutivo  nel
momento di cui si fa legislatore. esercitando, in via  eccezionale  e
per delega del Parlamento, il potere di produrre norme giuridiche che
andranno poi a collocarsi, nella gerarchia delle fonti  del  diritto,
allo stesso livello di quella stessa legge ordinaria che li scolpisce
e definisce. 
    Non e'  chi  non  veda  conte,  altrimenti  verrebbe  a  prodursi
l'antinomico e, a parere del  remittente  Collegio,  incostituzionale
fenomeno ed effetto per il quale il Governo adotta un testo normativo
di rango legislativo (avente cioe' forza di legge) violando una norma
di legge che regola proprio il  modo  di  formazione  della  potesta'
legislativa che si estrinseca nell'adozione del testo unico stesso. 
    E tra le regole,  assurgenti  a  disposizioni  di  principio  che
disciplinano il procedimento di adozione dei testi unici e  che  come
tali si impongono al potere esecutivo  nel  momento  in  cui  in  via
derogatoria ed eccezionale esercita la  funzione  legislativa,  vanno
con sicurezza annoverate l'art. 16, comma 1: del r.d. n. 1054/1924  e
l'art. 17, comma 25, lettera a) della  legge  n.  127/1997,  ribaditi
dall'art. 17-bis della legge  n.  400/1988  introdotto  dall'art.  5,
della legge n. 69/2009,  i  quali,  con  disposizione  di  principio,
stabiliscono  l'obbligo  della   previa   richiesta   e   conseguente
acquisizione del parere del supremo Organo consultivo dello Stato  ai
fini dell'esercizio della potesta' normativa del Governo di redazione
di testi unici. 
    L'omissione del descritto incombente  ridonda,  conseguentemente,
in una diretta o indiretta collisione con l'art. 76 Cost. sub  specie
di infrazione di uno dei principi  -  portati  da  leggi  diverse  ma
aventi la stessa forza di quelle di delegazione - ai  quali  a  mente
della  citata   norma   costituzionale   deve   essere   assoggettato
l'esercizio della potesta' normativa delegata al Governo. 
    7.1.1. - Non sfugge peraltro al remittente Collegio che per poter
ragionevolmente porre all'attenzione di codesto supremo giudice delle
leggi   la   prima   delle   divisate   questioni   di   legittimita'
costituzionale, ossia quella che  si  e  appena  illustrata,  occorre
acclarare con rigore due circostanze. La prima e' se il  c.d.  Codice
dell'ambiente e' un testo unico. La  seconda  e'  se  il  Governo  ha
realmente omesso di chiedere ed acquisire il parere del Consiglio  di
Stato. La prima resta ancora una quaestio iuris,  la  seconda  assume
invece i contorni di una quaestio facti, non per questo, peraltro, da
accettare in modo meno rigoroso. 
    Quanto alla prima, che il Codice dell'ambiente sia un Testo unico
a tutti gli effetti, e' provato da molteplici  dati  testuali,  oltre
che dalla stessa veste formale dell'articolato. 
    In merito al primo ordine di fattori - quelli testuali  -  appare
fondamentale ed ineludibile e depone nel delineato  senso,  anzitutto
il tassativo e chiaro tenore dispositivo della legge delega. 
    Invero, l'art.1,  legge  15  dicembre  2004,  n.  308,  rubricata
«Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione
della  legislazione  in  materia  ambientale  e  misure  di   diretta
applicazione» stabilisce che «Il Governo  e'  delegato  ad  adottare,
entro diciotto mesi dalla data di' entrata in vigore  della  presente
legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza  pubblica,  uno  o
piu'  decreti  legislativi  di  coordinamento  e  integrazione  delle
disposizioni  legislative  nei  seguenti  settori  e  materie,  anche
mediante la redazione di Testi Unici: 
    a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati; 
    b) tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle  risorse
idriche; 
    c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione (...)». 
    Il legislatore delegante ha dunque inteso  imprimere  al  decreto
delegato recante  coordinamento  e  integrazione  delle  disposizioni
legislative m materia ambientale, la natura di Testo unico. 
    E  da  questa  precisa  direttiva  del  Parlamento   ritiene   il
denunciante Tribunale  che  l'interprete  non  possa  in  alcun  modo
prescindere nelle operazioni di  qualificazione  e  ricognizione  del
regime giuridico-formale del d.lgs. n.  152/2006,  specie  laddove  a
dette qualificazioni conseguano rilevanti effetti che, come nel  caso
della  rilevata  omessa  acquisizione  del  parere   del   Consiglio,
refluiscano  al  livello  del  giudizio   costituzionale   in   punto
all'infrazione  o  meno  dei  dettami  fissati  dall'art.  76   della
Costituzione. 
    7.1.2. - Ad colorandum, inoltre, va pure debitamente  considerata
la veste formale del  decreto  legislativo  in  esame.  Sotto  questo
profilo  va  all'uopo  adeguatamente   e   attentamente   valorizzata
l'intitolazione stessa dell'articolato legislativo de quo,  la  quale
non  reca  affatto  la  dizione  «Codice  dell'Ambiente»,  come  dato
riscontrare negli altri codici  (della  strada,  dei  contratti,  del
consumo,  delle  assicurazioni  private,  etc.)  bensi'  la  generica
locuzione «norme in materia ambientale». 
    L'intitolazione del  decreto  delegato  e'  infatti  la  seguente
«Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (in suppl. ordinario n. 96
alla Gazzetta Ufficiale  14  aprile,  n.  88).  -  Norme  in  materia
ambientale». 
    Opina  il  Tribunale  che  anche  siffatto   dato   formale   sia
illuminante e risolutivo. 
    7.1.3. - Non puo', per converso, deporre in  senso  contrario  e,
cioe', che non siamo al cospetto di un testo  unico,  la  circostanza
che di seguito alla rubrica di ogni articolo e alla  sua  indicazione
numerica non compare tra parentesi l'elenco delle altre norme, di cui
alle leggi precedenti,  che  vengono  raccolte  o  innovate  con  gli
articoli del decreto. 
    Va infatti Osservato che la presenza di  siffatta  indicazione  e
quindi il ricorso alla suindicata tecnica redattiva,  non  e'  tratto
distintivo e qualificante dei testi unici, riscontrandosi una  simile
tecnica di compilazione anche nel caso di vari  nuovi  codici.  Basti
pensare, quale caso piu' risonante, al Codice dei  contratti  (d.lgs.
16 aprile 2006, n. 163), nel quale, dopo la rubrica e la  numerazione
di ogni articolo, figura  tra  parentesi  l'indicazione  delle  varie
norme  della  legge  n.  109/1994  e  del  relativo  regolamento   di
attuazione (d.P.R. n. 554/1999) nonche'  dei  decreti  legislativi n.
358/1992 sulle forniture pubbliche e n.  157/1995  sugli  appalti  di
servizi, che vengono volta a volta sostituite o innovate dai  singoli
articoli del codice. 
    La medesima tecnica  compilativa  e'  dato  poi  riscontrare,  ad
esempio, anche relativamente al c.d. Codice delle  pari  opportunita'
di cui al d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, il quale  dopo  la  menzione
della rubrica e del numero di  ogni  articolo  espone  tra  parentesi
anche le varie norme delle leggi precedenti innovate o raccolte. 
    E' convinto, pertanto, il remittente Collegio che  il  d.lgs.  n.
152/2006 sia un Testo unico. 
    Per concludere sul tema, suffraga e  alla  fine  comprova  questa
convinzione  anche  un  espressa   ammissione   fatta   dal   Governo
nell'agosto dello scorso anno mediante  un  comunicato  diramato  dal
Consiglio dei ministri in data 1° agosto 2008 in esito ad una  seduta
dedicata proprio al testo di legge in analisi. Ebbene, il  suindicato
comunicato, citato in uno dei piu' recenti commentari al testo  unico
m materia di ambiente in sede di commento all'art. 1, ove sono  anche
riportati i riferimenti della rivista  telematica  che  pubblico'  il
comunicato in questione, testualmente  affermava:  «il  Consiglio  ha
approvato  un  disegno  di  legge,   di   iniziativa   del   Ministro
dell'ambiente, contenente una delega al  Governo  di  riordino  delle
norme in materia ambientale in un TU  (testo  unico)».  Nel  medesimo
contesto, a sua volta, il Ministro dell'ambiente comunicava  che  «e'
stato approvato  un  provvedimento  che  prevede  la  riapertura  dei
termini per revisioni e integrazioni essendo numerose le  ragioni  di
opportunita' che consigliano  ulteriori  modifiche  e  revisioni  del
testo unico». 
    Nessun ragionevole dubbio puo' dunque prospettarsi in merito alla
qualificazione del d.lgs. n. 152/2006 come testo unico, per  di  piu'
con evidente carattere di innovativita'. 
    7.2.1.  -  Conviene  ora  appurare  la  seconda  delle   centrate
questioni, ossia  la  quaestio  facti  dell'omessa  acquisizione  del
parere del Consiglio di Stato. 
    A tal riguardo,  la  prima  fonte  di  prova  che  il  remittente
Tribunale ritiene di dover porre all'attenzione  di  codesta  sovrana
Corte e'  fornita  dalle  stesse  affermazioni  rese  sul  punto  dal
Consiglio di Stato nell'adunanza della Sezione  consultiva  per  atti
normativi del 5 novembre  2007,  n.  3838/2007,  in  occasione  della
redazione del parere sul secondo  correttivo  poi  apportato  con  il
d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4. 
    Orbene, a pag. 7 della Relazione di parere del  supremo  Consesso
consultivo dello Stato, si legge la seguente categorica affermazione:
«La sezione Osserva, anzitutto, che il parere del Consiglio di  Stato
deve intendersi richiesto ai sensi dell'art. 17,  comma  25,  lettera
a), legge 15 maggio 1997, n. 127 (nonche' dell'art. 16, comma  1,  n.
3, t.u. n. 1054 del 1924». Segue una rilevante precisazione, a tenore
della quale il  parere  «va  circoscritto  allo  schema  del  decreto
correttivo trasmesso, e non puo' pertanto estendersi, ora per allora,
ne' al precedente d.lgs. n.  152  del  2006,  ne'  al  primo  decreto
legislativo correttivo, testi sui quali il parere di questo  Consesso
non e' stato richiesto». 
    Giova rimarcare, quindi, che il Consiglio di  Stato  sottolineava
sia che il parere richiesto sul secondo decreto correttivo non poteva
intendersi riferito anche al primo o al  testo  base  originario  del
d.lgs. n 152/2006 e che pertanto non poteva configurare una sorta  di
parere in sanatoria, sia che sullo steso d.lgs. n. 152/2006 (come sul
primo suo correttivo) il parere del Consesso consultivo non e'  stato
mai richiesto. Trattasi di fonte assolutamente  incontestabile  oltre
che autorevolissima. 
    7.2.2. - In  ogni  caso  evidenzia  il  remittente  Collegio  che
ulteriore prova, assolutamente dirimente, della mancata  acquisizione
del parere del Consiglio,  e'  offerta  dalla  lettura  dello  stesso
preambolo al d.lgs. n. 15 febbraio 2006, il  quale,  mentre  richiama
tutte le preliminari deliberazioni e da' conto dell'acquisizione  dei
pareri  delle  competenti  commissioni  parlamentari,  non   menziona
affatto l'avvenuta acquisizione del parere del Consiglio di Stato. Si
legge infatti nel  preambolo  stesso:  «(...)  Vista  la  preliminare
deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del
18 novembre 2005; Acquisito il parere della Conferenza  unificata  di
cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281;
Acquisiti i pareri delle competenti  commissioni  della  Camera,  dei
deputati  e  del  Senato  della  Repubblica;  Vista  la   preliminare
deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del
19 gennaio 2006; Acquisiti  i  pareri  delle  competenti  commissioni
della Camera dei deputati e del Senato  della  Repubblica;  Viste  le
deliberazioni del Consiglio dei Ministri, adottate nelle riunioni del
10 febbraio  e  del  29  marzo  2006;  Sulla  proposta  del  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio (...) Emana  il  seguente
decreto legislativo». 
    Anche  l'argomento  in  parola  si  profila  dunque  decisivo   a
dimostrare la denunciata omissione. 
    7.3. - Preme  inoltre  al  rimettente  Tribunale  rammentare  che
all'epoca della promulgazione del  decreto  legislativo  n.  152/2006
riecheggio' sulla stampa, suscitando intuitivo  scalpore  e  connesse
preoccupazioni  istituzionali,  la  reazione  del  Presidente   della
Repubblica  Ciampi,  il   quale   rinvio'   al   Governo   il   testo
dell'articolato, rifiutandosi di firmarlo,  proprio  a  motivo  della
omessa acquisizione del parere del Consiglio di Stato oltre  che  per
la mancata considerazione del parere negativo della Conferenza  Stato
- regioni e delle associazioni ambientaliste. 
    Ebbene, si ricordi che il Governo rispose  ai  rilievi  del  Capo
dello Stato  con  affermazioni  di  tenore  meramente  interlocutorio
incentrate sugli ambiti della delega legislativa, assumendo, come  si
legge in reports della pubblicistica dell'epoca, tuttora  disponibili
sulla rete Internet, che il parere del Consiglio  di  Stato  non  era
obbligatorie in  quanto  il  Codice,  non  contenendo  la  disciplina
relativa alle aree protette, all'inquinamento acustico e all'energia,
non puo' essere considerato un Testo unico. 
    E' peraltro agevole oppone sul punto che l'ampiezza del contenuto
della delega come definito all'art. 1 alle lettera a)-g) del comma 1,
della legge n. 308/2004, non consentiva, ne' consente,  peraltro,  di
dedurre  che  il  testo  unico  ambientale  dovesse   necessariamente
abbracciare tutte le materie dettagliate alle lettere a)-g) dell'art.
1, comma 1 della legge, come si  arguisce  dalla  formulazione  della
norma stessa, secondo cui il Governo era delegato ad adottare «uno  o
piu' decreti legislativi» nelle predette materie,  conseguendone  che
la delega poteva anche  essere  attuata  mediante  un  solo  decreto,
relativo ad alcuno o alcuni dei settori e materie de quibus. 
    Ma, oltretutto, giova rimarcare che  l'assunto  del  Governo  non
convince gia' in punto di fatto. L'inquinamento acustico e  l'energia
non figurano, invero, tra i settori e le materie oggetto  di  delega,
per cui il Governo non era neanche legittimato ad inserire nel  testo
unico la disciplina di detti settori e materie. Soltanto la «gestione
delle aree protette», materia la cui disciplina il Governo  lamentava
non essere stata inserita nel corpo del testo  unico  ambientale,  e'
annoverata (lettera d) tra i possibili  oggetti  dell'emanando  testo
unico. 
    Ma a tal riguardo, appare davvero difficile sul  piano  giuridico
poter ragionevolmente sostenere che il testo unico di cui  al  d.lgs.
n. 152/2006 censurato non possiede la  natura  di  testo  unico  solo
perche non disciplina le aree protette. 
    Auspica, pertanto, il remittente Collegio l'intervento di codesta
sovrana Corte, unica suprema istituzione depositaria  del  potere  di
ripristinare,  con  l'accoglimento  della  prospettata  questione  di
legittimita'  costituzionale,  l'ordine  giuridico  violato  con   la
rilevata infrazione dell'art. 76 della Carta fondamentale,  vulnerato
con  la  denunciata   omissione   della   richiesta   e   conseguente
acquisizione del parere del supremo Consesso consultivo dello Stato. 
    Le  inconfutabili  fonti  di  prova  finora  ricostruite  devono,
pertanto, indurre a concludere che l'art. 153, nonche' l'intero testo
unico ambientale, c.d. Codice dell'ambiente,  di  cui  al  d.lgs.  n.
152/2006 e al primo suo decreto correttivo, sono stati  varati  senza
la prescritta necessaria previa acquisizione del parere del Consiglio
di Stato, mancanza che concreta la violazione di uno dei principi - e
criteri direttivi - discendenti dal combinato disposto della legge di
delegazione n. 308/2004, dell'art. 17, comma 25, lettera a), legge 15
maggio 1997, n. 127 nonche' dell'art. 16, comma l, n. 3, t.u. n. 1054
del 1924. 
    L'infrazione di tutte le citate  norme  di  principio  sostanzia,
come  piu'  sopra  meglio  e  diffusamente  sviscerato,  la   diretta
violazione dell'art. 76 della Costituzione che fissa i limiti cui  il
potere esecutivo deve rigorosamente  attenersi  nell'esercizio  della
funzione legislativa delegata dal parlamento, espressione dello Stato
- Comunita' e del corpo elettorale nelle sue multiformi  e  variegate
espressioni e manifestazioni che consente il principio democratico su
cui e' intelaiata la Costituzione repubblicana. 
    8.1. - Puo' ora approdarsi alla disamina del secondo sospetto  di
collisione costituzionale,  del  quale  piu'  specificamente  ritiene
afflitto il remittente Tribunale l'art. 153 del d.lgs.  n.  152/2006,
che  appare  vulnerare  il  principio  di  invarianza  della  finanza
pubblica locale, espressamente annoverato  all'art.  1,  comma  l,  e
comma 8, lettera c) della legge di delegazione,  legge  n.  308/2004,
tra gli specifici principi e criteri direttivi vincolanti l'esercizio
della delega legislativa al Governo. 
    Riprendendo la focalizzazione della problematica in  parola  gia'
tratteggiata in apertura, va ricordato che il principio di  gratuita'
della  concessione  in  uso  delle  reti   e   delle   infrastrutture
complessive strumentali alla gestione del servizio idrico  integrato,
scolpito nella predetta inderogabile norma del testo unico, appare al
remittente Collegio urtare frontalmente con uno dei criteri direttivi
di cui alla legge delega del 15 dicembre 2004, n. 308, il cui art. 1,
comma 8 stabiliva expressis verbis che i decreti delegati di riordino
della legislazione, in materia di ambiente  dovessero  informarsi  ai
criteri direttivi dettagliati al comma 8 dell'art.  1,  tra  i  quali
alla lettera c) consta quello della «invarianza degli oneri a  carico
della finanza pubblica». 
    Identico limite e', inoltre, in via generale fissato all'art.  1,
comma 1 delle legge delega, che conferiva al Governo la  potesta'  di
«adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore  della
presente legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica,
uno  o  piu'  decreti  legislativi  di  riordino,   coordinamento   e
integrazione delle disposizioni legislative» in  materia  ambientale,
purche' cio' avvenisse «senza nuovi o maggiori oneri per  la  finanza
pubblica». 
    Come sopra anticipato, ritiene il  remittente  Tribunale  che  la
norma scaturente da entrambe le suindicate disposizioni definisca  il
principio direttivo, vincolante il legislatore delegato, in  ossequio
al quale la novella disciplina  di  tutti  i  settori  e  le  materie
indicati alle lettere a)-g) dell'art. 1 della legge n. 308/2004 quali
contenuti  del  nuovo  testo   unico   ambientale,   potesse   essere
riordinata,  innovata,  coordinata  e  integrata  a  patto   di   non
determinare  nuovi  o  maggio  oneri  per  la  finanza  pubblica,  in
particolare, rispettando il canone definito all'art.  8,  lettera  c)
come «invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica». 
    8.2. - Sembra al riguardo opportuna  una  precisazione  circa  il
concetto e la nozione di finanza pubblica  additata  nelle  norme  in
esame, onde delinearne il raggio di azione e il confine  applicativo.
Appare sul punto intuitivo che l'elemento  soggettivo  delle  finanza
pubblica vada definito con riferimento all'ente pubblico sul quale va
ad incidere la novella disciplina, potendo  tale  profilo  soggettivo
mutare a seconda del soggetto titolare della funzione, dell'attivita'
o della competenza via via disciplinata dalle singole norme,  potendo
correlativamente tale soggetto, identificarsi con lo  Stato,  con  le
Regioni ovvero con gli enti locali. 
    Altrimenti detto, non e' finanza pubblica,  rispetto  alla  quale
opera il delineato principio di tutela e di salvaguardia, solo quella
che fa capo allo Stato centrale; lo e' anche quella  che  ha  il  suo
centro di imputazione negli altri enti pubblici e in specie in quelli
territoriali  (regioni)  e  locali.  Potenziale  destinatario   della
clausola di  salvaguardia  scolpita  ai  commi  1  e  8,  lettera  c)
dell'art. 1 della legge  delega  e',  pertanto,  ogni  ente  pubblico
titolare  di  un'entrata  tributaria  patrimoniale   e   lato   sensu
finanziaria e come tale  centro  di  imputazione  e  gestione  di  un
gettito finanziario. 
    Un operatore pubblico  e'  infatti,  secondo  le  teoriche  della
scienza  delle  finanze,  un  soggetto  attivo  dotato  di   potesta'
finanziaria. 
    In tal senso, non e' revocabile in dubbio che  un  comune  e'  un
soggetto titolare di entrate tributarie e  centro  di  imputazione  e
gestione di un gettito finanziano, di un bilancio che contempla poste
attive e passive, voci di entrata e voci di spesa. 
    E' quindi un ente locale, uno dei soggetti pubblici a favore  dei
quali  deve  ritenersi   operare   il   principio   di   salvaguardia
dell'invarianza degli oneri per la finanza pubblica, fissato all'art.
1 commi 1 e 8, lettera c) della legge n.  308/2004  ed  assurgente  a
vincolante principio e  criterio  direttivo  che  il  Governo  doveva
necessariamente   rispettare   nell'elaborazione   delle   norme   di
attuazione della legge di delegazione. 
    8.3. - Del pari  si  impone  una  breve  riflessione  sull'ambito
oggettivo della nozione di finanza pubblica. Al  riguardo  appare  al
remittente Collegio illuminante ai fini esegetici che qui interessano
e in particolare allo scopo di far luce sui confini della nozione  di
«finanza pubblica» alla cui salvaguardia il Legislatore delegante  ha
predisposto il vincolante principio e  criterio  direttivo  contenuto
all'art. l, commi l e 3 lettera c) della legge delega, la definizione
che della nozione in analisi offrono le  moderne  e  ormai  dominanti
teorie della scienza delle finanze, che (discostandosi in parte dalle
tesi    griziottiane)    identificano    la    finanza    pubblica in
quell'attivita' posta in essere dagli enti pubblici per l'ottenimento
delle risorse necessarie all'adempimento delle loro funzioni. 
    Deve, pertanto, fornirsi della norma  de  qua  un'interpretazione
rispettosa della  riportata  definizione,  operandosene  una  lettura
finalistica e di risultato, ovverosia puntualizzata  non  su  singoli
elementi o voci della  c.d.  finanza  pubblica  (locale,  nel  nostro
caso),  bensi'  muovendo  l'Osservazione   da   un   angolo   visuale
complessivo e di insieme. 
    Con  l'ausilio  di  siffatta  ampia   prospettiva   di   indagine
suffragata anche dal concetto tecnico di finanza pubblica accreditato
dalle moderne ricordate sistemazioni  della  scienza  delle  finanze,
deve quindi affermarsi che il legislatore con il cennato principio di
tutela della finanza pubblica da  aggravio  di  oneri,  aveva  inteso
bandire  e  scongiurare  l'introduzione,   attraverso   le   emanande
disposizioni delegate e i loro meccanismi ed effetti applicativi, non
solo di nuove voci di spesa e cioe' di nuovi esborsi a  carico  degli
enti pubblici titolari di centri di entrata finanziaria, ma  altresi'
la produzione di minori entrate mediante la radicale eliminazione  di
poste attive di bilancio, o la loro riduzione. 
    Evenienze  che,  intuitivamente,  equivalgono,   nella   divisata
prospettiva di indagine complessiva e di insieme, a un maggiore onere
per la finanza locale. 
    In proposito il Comune di Vercelli nella  memoria  per  l'udienza
pubblica ha infatti opportunamente affermato che  l'esclusione  della
possibilita' di stabilire nella convenzione di affidamento un  canone
per l'uso delle infrastrutture idriche, concreta una minore  entrata,
che ha lo stesso effetto finale e sostanziale  di  una  nuova  spesa.
Opzione che collima  con  quanto  dianzi  argomentato  in  ordine  al
profilo oggettivo della nozione di finanza pubblica riguardata  nella
prospettiva di insieme piu' sopra definita. 
    8.4. -  Sulla  scorta  delle  riflessioni  ora svolte  sul  punto
deve, quindi, concludersi che  l'art.  153  del  d.lgs.  n.  152/2006
infrange il principio e criterio  direttivo  (ex  art.  1,  comma  8,
lettera c) della legge n. 308/2004) dell'invarianza degli  oneri  per
la finanza pubblica poiche' se quest'ultima e l'attivita'  dispiegata
degli enti locali per conseguire le risorse  economiche  atte  a  far
fronte all'adempimento  delle  loro  funzioni,  la  denunciata  norma
introduttiva  della  necessaria  gratuita'  della  concessione  delle
infrastrutture    idriche    vulnera    ed    incide    negativamente
quell'attivita'  pubblica  intesa  al   reperimento   delle   risorse
necessarie ai fini  istituzionali  degli  enti  pubblici  -  nel  che
consiste come ricordato la  «finanza  pubblica»  -  poiche'  priva  i
comuni  di   una   non   indifferente   fonte   di   entrata   e   di
autofinanziamento costituita dal corrispettivo della cessione in  uso
dei beni afferenti alle infrastrutture idriche.  Si  ricordi  che  il
canone  per  cui  e'  causa  ammontava  ad  € 2.345.000   annue,   da
corrispondersi al  Comune  di  Vercelli  da  parte  del  gestore  del
servizio idrico, per ben vent'anni. 
    9.1. - La norma di cui  all'art.  153  del  testo  unico  che  il
Tribunale indubita di infrazione costituzionale nella  parte  in  cui
istituisce   il   principio   della   necessaria   gratuita'    delle
infrastrutture impatta, tra l'altro, anche con  una  del1e  finalita'
del decreto delegato indicate al suo art. 2,  dedicato  appunto  alle
finalita' generali della novella normativa e come  tali  collocantesi
ad un livello di primarieta' rispetto alle diposizioni  di  dettaglio
contenute nei successivi articoli del c.d. Codice dell'ambiente. 
    Invero, rimarca il remittente Collegio  che  la  censurata  norma
contrasta anche con la finalita' espressamente enunciata all'art.  2,
comma 3 del d.lgs. n. 152/2006, a mente del quale «Le disposizioni di
cui al presente decreto sono attuate nell'ambito delle risorse umane,
strumentali e finanziarie previste a  legislazione  vigente  e  senza
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». 
    Dalla menzione  del  principio  dell'immodificabilita'  in  peius
degli oneri per la finanza pubblica nel corpo  dello  stesso  decreto
delegato e tra le disposizioni  di  principio  e  di  scopo,  risulta
quindi rafforzato il carattere di principio ineludibile e vincolante,
ai sensi e per gli effetti dell'art. 76 della  Costituzione,  che  va
riconosciuto  al  canone  imperativo  dell'invadenza  della   finanza
pubblica (nella specie, locale) e  a  quello  dell'impossibilita'  di
creare nuovi o maggiori oneri per la stessa. 
    9.2. - Ravvisa,  pertanto,  il  Tribunale  rimettente  anche  una
intrinseca contraddittorieta' e antinomia, operante all'interno dello
stesso corpus normativo delegato, tra l'art. 153 del  testo  unico  e
l'art. 2, comma 3 appena riportato e assurgente a norma di principio,
affatto prevalente rispetto alla prima. 
    Invero, non e' chi non veda che se lo stesso Governo delegato  ha
inserito tra lo finalita' del decreto la salvaguardia  dell'invadenza
della finanza  pubblica,  gia'  efficacemente  peraltro  elevata  dal
Parlamento delegante a principio e  criterio  direttivo  cogente  del
legittimo  esercizio  della  delega  legislativa,  l'opzione   insita
nell'art. 153 del testo unico, di eliminare una consistente fonte  di
entrata e di autofinanziamento dei comuni per effetto dell'abolizione
del canone di  concessione  dell'uso  delle  reti  ed  infrastrutture
idriche,  si  profila  manifestamente   illogica,   irragionevole   c
intrinsecamente contraddittoria e, come detto,  confliggente  con  lo
stesso art. 2, comma 3 del decreto. 
    9.3. - Per tali ragioni il remittente Collegio solleva  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 153 anche per violazione del
canone  costituzionale  della  ragionevolezza  logicita'  e   interna
coerenza della legge, stante il delineato contrasto  della  censurata
norma con lo stesso art. 2 del decreto, recante  la  disposizione  di
principio inerente alle finalita' del decreto legislativo stesso. 
    10.1 - Vale la pena, inoltre, conclusivamente evidenziare come la
norma sospettata di collisione  costituzionale,  nell'introdurre  con
tratti   di   assoluta   novita'   il   principio    di    gratuita',
conseguentemente sopprimendo una ragguardevole fonte di entrata e  di
autofinanziamento degli enti locali, si ponga in controtendenza ed in
antitesi con le  linee  di  evoluzione  dell'ordinamento  finanziario
degli  enti  locali,  che  muovono  sempre   piu'   nel   senso   del
rafforzamento   dell'autonomia   impositiva    e dell'autosufficienza
finanziaria degli enti stessi, nella  prospettiva  costituzionale  di
incoraggiamento delle autonomie locali e di perseguimento della  loro
autonomia finanziaria di entrata,  attribuita  a  comuni  e  province
dall'art. 119 della Costituzione. 
    Autonomia  ed  autosufficienza  che  previamente   postulano   il
rafforzamento   della   potesta'   impositiva   di   tali   enti    e
l'incentivazione della loro autonoma potesta' finanziaria. 
    Conviene  ora  procedere  ad  una   rapida   ma   necessariamente
inesaustiva    ricostruzione     dell'evoluzione     dell'ordinamento
finanziario degli enti locali, onde far  risaltare  come  l'art.  153
denunciato si ponga in assoluta controtendenza rispetto alle centrate
linee evolutive del sistema in subiecta materia. 
    10.2. - Va in proposito rammentato che gia' l'art. 54 della legge
8 giugno 1990, n. 142 (abrogata, come noto, dal d.lgs. n.  267/2000),
nella complessiva ottica di  valorizzazione  e  incentivazione  delle
autonomie locali, gettava le basi per una completa  rivisitazione  in
materia di «Finanza e contabilita' pubblica locale», dettando  taluni
principi  informatori  e  rinviando  a  successiva  specifica   legge
ordinaria la fissazione di analitiche disposizioni di dettaglio. 
    Il prevalente principio informatore tracciato dal legislatore del
1990 era quello del riconoscimento di autonomia finanziaria agli enti
locali,  fondata  oltre  che  sui  trasferimenti  erariali,  anche  e
soprattutto su «risorse proprie». In armonia ed  iniziale  attuazione
di  siffatto  innovativo  principio,  l'art.  54  della  legge  sulle
autonomie locali aveva previsto tra i  fattori  e  gli  elementi  che
dovevano costituire le fonti della finanza degli enti locali,  «altre
entrate proprie, anche patrimoniali». 
    Il  riferimento  era,  all'evidenza,  alle  entrate  patrimoniali
costituenti il corrispettivo (in chiave sinallagmatica) dell'uso  dei
beni patrimoniali produttivi, suscettibili di utilizzazione economica
da  parte  di  privati.  Tra  tali  beni  campeggiavano  proprio   le
infrastrutture strumentali all'erogazione dei servizi pubblici e,  in
particolare, le reti idriche, fognarie, i metanodotti,  etc.  Tant'e'
che nel concreto operare del modulo gestionale dei  servizi  pubblici
locali, definito all'art. 22, comma 3, lettera e), della citata legge
n. 142/90, dell'affidamento della gestione a societa' miste  pubblico
-  privato,  il  collegamento  negoziale  adoperato  contemplava   la
sottoscrizione di un contratto  di  servizio  o  di  una  convenzione
accessiva,  -   benche'   non   necessaria   nel   modello   gestorio
dell'affidamento diretto a societa' a prevalente o integrale capitale
pubblico, come subito  chiarito  dalla  giurisprudenza -  contestuale
alla clausola pattizia mediante la quale  il  comune  non  cedeva  in
proprieta'  i  relativi  beni  strumentali   -   incedibili   siccome
appartenenti al suo patrimonio indisponibile - ma li concedeva in uso
al gestore per tutta la  durata  dell'atto  di  affidamento  e  della
correlativa convenzione. 
    Quei beni, quindi, rappresentavano una posta attiva, che generava
il corrispettivo di un prezzo a favore dell'ente locale.  Persisteva,
del resto, il fenomeno  della  concessione  di  aree  del  patrimonio
comunale a privati dietro corrispettivo di una tariffa, poi  divenuta
canone,  anche  ad  evidenziarne  la  derivazione  da   una   vicenda
sinallagmatica, nella sostanza assimilabile ad un  diritto  personale
di godimento. 
    10.3. - Tra le leggi specifiche di cui, come avvertito, la  legge
n. 142/90 preconizzava l'adozione, fu approvata la legge  23  ottobre
1992, n. 421 (nota per  avere  delegato  il  Governo  ad  attuare  la
privatizzazione del pubblico impiego poi avviata  con  il  d.lgs.  n.
29/1993)   che   attribuiva   all'Esecutivo   la   delega   per    la
razionalizzazione e la  revisione  delle  discipline  in  materia  di
sanita', pubblico impiego,  previdenza  e  finanza  territoriale.  Il
relativo art. 4 contemplava l'istituzione di nuove entrate  locali  e
quindi, in attuazione di tale mandato parlamentare, il Governo emano'
il d.lgs.  30  dicembre  1992,  n.  504,  con  il  quale  sono  state
attribuite nuove risorse a regioni, province  e  comuni  mediante  la
diretta creazione di nuovi tributi, quali l'ICI. 
    Seguivano il d.lgs. 15 dicembre  1997,  n.  447  attuativo  della
delega contenuta nel cd collegato alla legge Finanziaria per il  1997
(legge 23 dicembre 1996, n. 662) ed istitutivo dell'IRAP. Con  questo
decreto delegato e' stata attuata una profonda e strutturale modifica
del sistema tributario,  procedendosi  ad  un  riordino  dei  tributi
locali nonche' delle relative competenze spettanti agli enti locali. 
    Lo scopo principale di siffatta novella, come  evidenziato  dalla
dottrina era da individuare nell'intento  di  rafforzare  l'autonomia
degli enti locali onde consentire  loro  una  maggiore  capacita'  di
autofinanziamento, compiendo un significativo  passo  in  avanti  sul
sentiero, del  quale  gia'  la  legge  n.  142/1990  era  timidamente
antesignana, del c.d. federalismo fiscale. 
    Il ricostruito corpus normativo faceva, dunque,  consistentemente
profilare sull'orizzonte delle  fonti  di  finanziamento  degli  enti
locali la macrocategoria  di  entrata  non  tributaria  rappresentata
dall'utilizzazione per finalita' di pubblico servizio e con indiretti
ritorni economici dei beni  patrimoniali.  Coerentemente  con  questa
cornice normativa, il d.P.R. 31  gennaio  1996,  n.  194  recante  il
«Regolamento per l'approvazione dei modelli di cui all'art.  114  del
decreto  legislativo   25   febbraio   1995,   n.   77,   concernente
l'ordinamento finanziario e contabile  degli  enti  locali»  definiva
infatti  cinque  categorie  di  entrate  extratributarie  degli  enti
locali, la seconda delle  quali  (accanto  ai  proventi  dei  servizi
pubblici, ai proventi finanziari - ossia interessi  su  depositi,  su
capitale conferito ad aziende speciali e societa'  partecipate  -  al
proventi per utili da aziende speciali partecipate a  alla  residuale
categoria dei proventi diversi) era individuata nei  «proventi  dalla
gestione patrimoniale». 
    Tra questi ultimi la sistematica di teoria della  finanza  locale
suole annoverare sia il canone per l'occupazione dei  suoli  ed  aree
pubbliche (COSAP) che ha sostituito la pregressa entrata,  di  natura
tributaria, della TOSAP,  sia,  per  evidente  affinita'  sostanziale
oltre che funzionale, il canone per la concessione  in  uso  di  beni
patrimoniali, che viene talora incluso  nelle  classificazioni  della
Finanza locale nella categoria contermine dei proventi per  utili  da
aziende speciali e partecipate. 
    E' di tutta evidenza, pertanto,  che  le  infrastrutture  idriche
vanno sussunte  nella  categoria  dei  beni  patrimoniali,  ancorche'
afferenti al patrimonio indisponibile o addirittura al «demanio» egli
enti locali, di cui sono parte gli acquedotti, che per  il  combinato
disposto degli art. 822, comma  2  e  824  c.c.  sono  soggetti  alla
disciplina dei beni demaniali. 
    10.4. - Dalla ricostruzione in  tal  modo  riepilogata  nei  suoi
tratti essenziali della cornice ordinamentale della  finanza  locale,
puo'  infermi  che  le  infrastrutture  idriche  sono  state   sempre
concepite come un fattore di alimentazione del circuito della finanza
locale,  in  nome  dell'autofinanziamento   e   dell'autosufficienza,
profili rilevanti di quella «autonomia finanziaria  di  entrata»  che
l'art. 119, comma 1 della Carta costituzionale riconosce ai comuni. 
    Ne consegue, a parere del  rimettente  Tribunale,  che  l'opzione
legislativa che sottende il principio di gratuita' che questo giudice
indubita di infrazione  costituzionale,  vulnera  e  intima,  dunque,
tutto il ricostruito corpus normativo della finanze locale, il  quale
appare attraversato e permeato da un obiettivo di  rafforzamento  del
canone  dell'autofinanziamento,  enucleabile  dal   complesso   delle
disposizioni sopra sommariamente passate in rassegna. 
    10.5 - Orbene, non puo' sottacersi che  siffatto  vulnus  sarebbe
apparso  sicuramente  criticabile  ma  probabilmente  sarebbe   stato
costituzionalmente  legittimo  qualora   fosse   scaturito   da   una
consapevole  scelta  del  legislatore  ordinario,   che   con   norma
equiordinata a quelle, poc'anzi segnalate, espressive  del  principio
di  autofinanziamento,  avrebbe  legittimamente   potuto   derogarvi,
apportandovi anche un significativo temperamento, individuabile nella
sottrazione delle infrastrutture idriche dal novero  delle  possibili
fonti di autofinanziamento derivanti dalle entrate  patrimoniali  dei
comuni. 
    Difetta invece nella vicenda che si prospetta a  codesta  sovrana
Corte, la necessaria norma di legge ordinaria abilitante, poiche' non
e' consentito al remittente Tribunale individuarla negli art. 153 del
testo unico e 1, commi 1 e 8 della  legge  delega.  Dal  raffronto  e
dalla lettura sinottica della citata, norma del decreto  delegato  in
uno con le due predette disposizioni di principio della legge delega,
emerge infatti un patente conflitto  e  traspare  che  la  scelta  di
introdurre il principio di gratuita' di cui all'art. 153 del  decreto
delegato, in tal modo sottraendo le infrastrutture idriche dal novero
dei beni patrimoniali produttivi di entrata, non e' stata autorizzata
dal Parlamento e non trova quindi supporto nella legge di delegazione
n. 308 del 2004 ma origina da un'autonoma voluntas del Governo. 
    La quale oblitera il limite e il vincolo della «invarianza  degli
oneri a carico della finanza pubblica» fissato dall'art. 1,  comma  8
punto c) della  legge  delega  ed  espressamente  qualificato  tra  i
«principi e  criteri  direttivi  generali»  dall'ultimo  periodo  del
predetto comma 8. 
    A tal proposito giova ribadire il concetto espresso dal Comune di
Vercelli nella memoria per l'udienza e aderente  all'argomentare  fin
qui  diffusamente  trattato:  sopprimere  un'entrata  equivale  a,  o
meglio, ha lo stesso effetto di creare una nuova spesa. 
    Effetto, lo si rimarca,  espressamente  bandito  dal  legislatore
delegante. 
    10.6. -  Oltretutto,  come  piu'  sopra  evidenziato,  lo  stesso
legislatore delegato ha stabilito all'art. 2 del decreto legislativo,
dedicato proprio alle finalita' del testo unico, la norma,  cui  pure
va  annesso,  ad  avviso  del  remittente  Collegio,   carattere   di
diposizione di principio, secondo la quale: «Le disposizioni  di  cui
al presente decreto sono attuate  nell'ambito  delle  risorse  umane,
strumentali e finanziarie previste a  legislazione  vigente  e  senza
nuovi o maggiori oneri a carico  della  finanza  pubblica»  (art.  2,
comma 3, d.lgs. n. 152/2006). 
    Il  principio  di  gratuita'  della  concessione  in  uso   delle
infrastrutture  idriche  con  la  connessa  incisione  della  finanza
pubblica comunale concreta pertanto, oltre  che  una  violazione  dei
«principi  e  criteri   direttivi   generali» -   giusta   l'espressa
qualificazione in tal senso contenuta all'art.  1,  comma  8,  ultima
alinea della legge n. 308/2004 della «invarianza degli oneri a carico
della finanza pubblica» (lettera c) comma cit.) - e l'infrazione  del
vincolo definito all'art. 1, comma 1, legge cit. in ossequio al quale
la delega avrebbe dovuto esercitarsi «senza nuovi  o  maggiori  oneri
per  la   finanza   pubblica»,   anche   un   intrinseco   vizio   di
irragionevolezza,  incongruenza  e  illogicita'  interni  al  decreto
stesso, per via della rilevata collisione con la  finalita'  generale
assegnata con norma di principio dall'art. 2 del decreto  delegato  e
che ripete il criterio direttivo impartito all'art. 1, commi  1  e  8
lettera c) della legge  delega,  ribadendolo  nell'impossibilita'  di
determinare «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». 
    10.7. - Appare  pertanto  al  remittente  Collegio  infranto  con
l'art. 153 del d.lgs. n. 152/2006 sia l'art. 1, commi 1 e 8,  lettera
c) della legge 15 dicembre 2004,  n.  308  che  l'ineludibile  canone
della ragionevolezza, della logicita' e della  coerenza  legislativa,
parimenti soggetto al sindacato di  codesta  sovrana  Corte  al  lume
dell'art. 3 della Carta costituzionale. 
    10.8. - Va quindi in definitiva  considerato  che  il  decremento
economico derivante dall'impossibilita' per i comuni di stabilire  un
canone nelle convenzioni di concessione in uso  delle  infrastrutture
idriche importa conseguentemente che viene in parte qua a ridursi  la
possibilita'  di  autofinanziamento  che   quei   proventi   comunque
assicurano, inducendo corrispondentemente i  comuni  a  ricorrere  ad
aiuti  statali  o  all'indebitamento  per   colmare   quella   lacuna
finanziaria attraverso mutui piu' o meno  onerosi  o  il  ricorso  al
debito pubblico. 
    Il tutto genera, all'evidenza,  corrispondente  compressione  del
quantum di autonomia di entrata che le fonti di reddito in  questione
concorrevano in parte qua  ad  assicurare,  discendendone  che  dalla
norma  del  testo  unico  indubitata  di  violazione  costituzionale,
risulta  infranto  anche  l'art.  119,  primo   comma   della   Carta
costituzionale, in forza del quale «i comuni  (...)  hanno  autonomia
finanziaria di entrata» e di spesa. 
    11.1. - In conclusione, qui richiamando le  considerazioni  tutte
svolte ai punti che precedono, ritiene il  remittente  Tribunale  che
l'art. 153 del  d.lgs.  n  152/2006,  unitamente  all'intero  decreto
delegato, violi l'art. 76 della Costituzione  per  aver  disatteso  i
principi  e  criteri  direttivi  discendenti  dal   complesso   delle
disposizioni vigenti in materia di approvazione dei testi unici e, in
particolare, dagli art. 17, comma  25,  lettera  a)  della  legge  n.
127/1997, 16, comma 1, n. 3, t.u. n. 1054/1924 poi ribaditi dall'art.
17-bis della legge n. 400/1988 come inserito  dall'art.  5,  comma  2
della legge 18 giugno 2009, n. 69, e  ormai  costituenti  principi  e
criteri direttivi immanenti al sistema riferibile all'intero contesto
in cui si collocano (giusta Corte cost. n.  280/2004)  e  integrativi
dei principi  e  criteri  direttivi  specificamente  enunciati  dalle
singole leggi di' delegazione, quali, nel caso che occupa,  la  legge
15 dicembre 2004, n. 308). 
    11.2. - Opina altresi' il remittente Collegio che l'art. 153  del
d.lgs. n. 152/2006, nella parte in cui dispone che le  infrastrutture
tutte afferenti al servizio idrico sono concesse in uso gratuitamente
al gestore del medesimo, configuri  una  patente  infrazione  di  uno
degli ineludibili e cogenti criteri e principi  direttivi  intagliati
nell'art. 1, commi 1 e 8 lettera c) della legge di delegazione, ossia
del principio di «invarianza  degli  oneri  a  carico  della  finanza
pubblica» (comma 8, lettera c) cit.) e di quello  dell'impossibilita'
che le disposizioni del  decreto  legislativo,  con  cui  il  Governo
doveva esercitare la delega, determinino «nuovi o maggiori oneri  per
la finanza pubblica» (art. 1, comma 1 legge cit.). 
    Il che si traduce in  ulteriore  violazione  dell'art.  76  della
Costituzione. 
    E' oltretutto, anche indirettamente vulnerato  l'art.  119  della
Carta costituzionale, che scolpisce  il  principio  e  il  canone  in
ossequio al quale, per quanto qui interessa, «I  comuni  (...)  hanno
autonomia finanziaria di entrata». 
    11.3.  -  Reputa,  infine,  il  remittente  Tribunale,   che   il
denunciato disposto di cui all'art. 153 del d.lgs. n. 152/2006  nella
censurata sua parte  sopra  riportata,  integri  anche  un  ulteriore
profilo di intrinseco e interno contrasto  con  le  stesse  finalita'
generali dell'articolato normativo complessivo, definite  all'art.  2
del medesimo d.lgs. n. 152/2006 - con norma che, quindi, per  la  sua
stessa collocazione e numerazione deve qualificarsi di principio -  e
ivi precisate nei perentori termini per cui «Le disposizioni  di  cui
al presente decreto sono attuate  nell'ambito  delle  risorse  umane,
strumentali e finanziarie previste a  legislazione  vigente  e  senza
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» art. 2, comma
3, d.lgs. n. 152/2006). 
    Il cennato  contrasto  si  traduce  in  un  evidente  profilo  di
irragionevolezza,   incongruenza,   contraddittorieta'   interna   ed
illogicita'   intrinseca   dell'articolato   legislativo   censurato,
ridondando quindi nella violazione dell'art. 3 della Costituzione sub
specie di infrazione del principio  di  ragionevolezza,  logicita'  e
coerenza interna della legge. 
    Per le ragioni tutte finora  investigate,  sul  fondamento  delle
argomentazioni  che  precedono  ed  alla  stregua  della  ritenuta  e
illustrata  rilevanza  e  non  manifesta   infondatezza   delle   tre
prospettate questioni,  si  rimette  la  loro  decisione  alla  Corte
costituzionale con sospensione del presente giudizio.